L'ABITO SU MISURA NON PASSA MAI DI MODA

L’abito sartoriale tagliato su misura per la crisi. Giacche, camicie e gonne imbastite sui manichini in virtù dell’unicità del modello e della qualità dei tessuti.

Così alla riscoperta dell’artigianalità, il sarto (una figura che si pensava fino al qualche tempo fa in via di estinzione) torna alla carica con il suo bagaglio ricco di tradizione ed esperienza. E tra clienti da sempre affezionati all’abito confezionato ad hoc, c’è un nuovo target che sceglie di farsi vestire dai maestri del cucito per i suoi vantaggi: costo (più basso rispetto alle proposte delle grandi griffe) e singolarità del capo.

Dalla storica sartoria romana di Luigi Gallo parte anche una originale iniziativa che incontra le esigenze dei clienti abbattendo i prezzi. Si tratta dello smoking anti-crisi. Presentato nell’ambito del recente dèfilé capitolino, organizzato dalla Camera Europea dell’Alta Sartoria al Campidoglio, è un classico abito, a 2 bottoni, blu notte al quale è possibile applicare un collo a scialle sui revers. Et voilà, lo smoking è servito. C’è di più, l’idea è trasferibile a qualsiasi abito del guardaroba personale.

«Si può portare un capo da casa propria e trasformarlo in smoking», dichiara a Ign, testa online del Gruppo Adnkronos, Luigi Gallo, il sarto lucano nato, si può dire, con l’ago e il filo in mano. La sua è, prima di tutto, una passione con la volontà di trasmetterla ai giovani. Tanto che, nell’ottobre 2007, tiene a battesimo la scuola della Camera Europea dell’Alta Sartoria, di cui è presidente, per rinverdire l’antico mestiere di sarto e crescere nuove leve.

«Caratteristica dell’abito sartoriale è che non segue tendenze, un classico che va sempre, realizzato da almeno 25.000 punti a mano e che si assesta addosso nel tempo. Insomma unico, perché personale, perché dura nel tempo ed è “senza tempo” per quanto riguarda la moda», spiega il sarto lucano adottato da Roma dove ha aperto il suo atelier nel 1968. Qui sono passati, tra gli altri, Giulio Andreotti, Christian Barnard e Giacomo Manzù. E oggi più che mai conta clienti tra politici, avvocati, manager e attori da Stefano Accorsi a Michele Placido, da Giancarlo Giannini a Fabrizio Bentivoglio.

Insomma un ritorno alla sartorialità non solo di chi acquista ma anche di chi confeziona. «Da parte dei giovani c’è una riscoperta di questo antico mestiere: io ho 38 allievi nella scuola della Camera Europea che dimostrano una grande passione tanto che vorrebbero occuparsi tra le materie solo di taglio e cucito», spiega Gallo. Un percorso di formazione con diploma finale della durata di tre anni. E una professione di sicura collocazione: «la manodopera del sarto è molto richiesta ed esistono parecchi posti vacanti».

«Il sarto è una sorta di consulente per il cliente: negli anni sa perfettamente cosa ha nel guardaroba. Il rapporto che si stabilisce è di fiducia tanto da lasciare a chi realizza i suoi abiti il compito di consigliarlo su tutto: tessuti, tagli e quel che c’è da rinnovare nell’armadio».

D’accordo anche la stilista Mia Carmen che dal 1997 accoglie le signore-clienti nel suo atelier nel cuore del rione Monti, a Roma. Ed è come entrare in un salotto. «Noi lavoriamo su richiesta delle nostre clienti con le quali si tende a instaurare nel tempo una relazione di fiducia. E loro si lasciano consigliare come amiche. La mia più grande soddisfazione? Quando le signore che vesto tornano da me dicendomi: “non riesco a togliere i tuoi abiti perché sono belli e comodi”», afferma la designer.

«Quel che le signore trovano in atelier è solo l’idea: un pezzo unico che è un campione ma è ovvio che si può modificare a seconda delle richieste specifiche», dice Mia Carmen sottolineando che lei «dirige l’orchestra» di una «complessa organizzazione» che lavora dietro le quinte tra modellisti, tagliatori e sarti. E che per questa stagione fredda, tra le novità, ha disegnato mantelle e cappe spruzzate di colore.

«Ho creduto nella sartoria dal ’93. E dunque nasco prima delle crisi - continua la giovane stilista -. Devo dire che il mio lavoro negli anni non ha subito gli effetti della congiuntura economica sfavorevole, poiché lavoro con una clientela affezionata. Tre anni fa in piena crisi, ho aperto un nuovo negozio, e oltre a vecchie conoscenze, ne ho acquistate di nuove», aggiunge Mia Carmen facendo osservare che se c’è un ritorno in sartoria è anche perché «molti dei grandi stilisti ultimamente hanno peggiorato la qualità dei capi».

Il rischio è che si finisce «per acquistare un abito griffato e costoso ma che qualitativamente non vale granché. E questo è tangibile tanto che ha fatto disamorare parecchia gente dalle grandi firme a vantaggio del lavoro artigianale». Senza considerare il fatto che gli abiti griffati non sono unici: «può capitare, come è successo, di trovare un “doppione” alla serata di gala. Con l’abito sartoriale questo non accade».

«Personalizzazione del prodotto». È secondo Rodolfo Caleffi titolare dell’omonima camiceria a Piazza Montecitorio la cartina tornasole per la corretta interpretazione sulla maggiore frequenza della sartoria. «Al di là del prezzo, il cliente che va dal sarto recepisce e gusta il lavoro fatto “su misura” in maniera diversa. Un conto un capo già pronto, seppure realizzato bene, un conto un capo personalizzato su cui è possibile apportare modifiche su richiesta».

Per realizzare una camicia da Caleffi ci vogliono almeno una ventina di giorni («una settimana di prova e circa dieci giorni per la creazione») e questo spiega anche il costo che oggi però viene affrontato con più consapevolezza da parte di quel margine «in aumento» che sceglie di andare dal sarto per vestirsi.

La Stampa - dicembre 2010 -

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